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La trasversalità di Fabrizio De Andrè
Ricordo il funerale di Faber come una delle cose più "trasversali" a cui abbia mai assistito:tutte le età, tutte le classi, le provenienze più lontane, i gruppi sociali più disparati (dall'alta borghesia agli ultimi delle sue ballate), etnie assortite (tra cui indioamericani, gitani, immigrati di ogni sorta), musicisti apparentemente inconciliabili (trallalero genovesi, vocalisti sardi, esponenti del conservatorio e della musica colta, rockers, cantautori, sa Dio cos'altro ancora), gente di teatro e una moltitudine di chissàchi. Una "trasversalità" evidente: le parole di Faber, la sua filosofia di vita, il suo modo di porsi e di farci notare le storture del mondo non conoscono confini.
Spesso, su alcuni artisti (in particolare De Gregori, Moretti, Bertolucci) sono apparsi interventi di critica connessa anche alla loro dichiarata appartenenza politica. Fabrizio è stato sicuramente molto più schierato dei citati, molto più estremo (non estremista) nelle sue scelte, eppure non mi ricordo un intervento che dicesse, in sintesi, "non mi piace De Andrè perché era anarchico", oppure "è stato sopravvalutato perché di sinistra".
La storia del Progressive Rock
Alla fine degli anni sessanta appare sulla scena europea una forma di musica rock del tutto diversa da ciò che era stato ascoltato fino ad allora, composizioni eclettiche e complesse, nelle quali, alle ritmiche ed alle melodiche tradizionali della musica rock, si fondono influenze sinfoniche e jazz condotte sino alla più pura sperimentazione, una forma musicale così complessa che aveva bisogno non di semplici strumentisti, ma di musicisti con un elevato livello di preparazione, cultura e virtuosismo che solo la frequentazione di Conservatori o di scuole d’arte poteva dare.
Il nome stesso dato a questa forma musicale indica una fuga dagli schemi prestabiliti del rock e del pop, da quei pochi minuti di esecuzione adatti alla radiodiffusione ad al disco a 45 giri, per raggiungere, “progredendo”, le ampiezze e le complessità sofisticate della musica classica e jazz.
Monsieur le Swing - Il jazz e l’Europa
La globalizzazione, orribile neologismo usato a qualificare il nostro tempo e dividere le coscienze, è anche un fenomeno che oggi, nelle forme e nelle espressioni, tende ad imporre canoni di riferimento universali che finiscono spesso per avvilire o, peggio, cancellare tradizioni locali ricche ed affascinanti. Ma è sempre stato così?
Io credo che non ci fosse bisogno alcuno d’inventare questa parola, perché, forsennate accelerazioni a parte, è dalla rivoluzione industriale in poi che viviamo in un sistema sociale che contabilizza, esporta ed internazionalizza popoli, idee e contraddizioni; e nella scia di questo rullo compressore sono rimasti anche fermenti d’arte, d’ingegno, di vita che hanno trovato fertile applicazione dov’era logico che avvenisse o dove quando e meno te l’aspettavi.
Nella musica, il jazz è stato globalizzato prima di qualunque altro genere, e questo non deve certo stupirci, chè proprio nella più europea delle città americane si trova il certificato di nascita del jazz, che è internazionale già nelle sue origini per via della formidabile applicazione, in quelle regioni, delle antiche poliritmie popolari di gente che lì, a dirla tutta, non avrebbe dovuto esserci per nulla.
Su di loro:
Fabrizio De Andrè
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Le recensioni:
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La Cattiva Strada (brano)